Fattore Rh in gravidanza

Se una donna è Rh negativa e ha un partner Rh positivo, in caso di gravidanza può porsi il problema dell’incompatibilità del fattore Rh tra madre e figlio – se anche questo è Rh positivo. Quali esami fare e come deve essere seguita la gravidanza (importante anche nei casi di fecondazione assistita sia FIVET, ovodonazione,  che embriodonazione, seme del donatore) Che cos’è il fattore Rh Si tratta di un gruppo di molecole che possono essere presenti sulla superficie dei globuli rossi. Come i gruppi sanguigni ABO, anche il fattore Rh rappresenta un sistema di classificazione del sangue, e deve il suo nome alle scimmie della specie Macacus rhesus, sulle quali vennero condotti i primi studi in materia.

Rispetto al fattore Rh, sono possibili due situazioni: Rh positivo, se il fattore è presente; Rh negativo, se è assente. Tra le varie molecole che definiscono il fattore Rh, quella chiamata antigene-D è considerata la più importante. Circa il 15% delle donne è Rh negativo.

Perché è importante conoscere il gruppo Rh?

Perché, se una donna è Rh negativa e ha un partner Rh positivo, in caso di gravidanza può porsi il problema dell’incompatibilità del fattore Rh tra madre e figlio (se anche questo è Rh positivo). Significa che, in caso di contatto tra sangue materno e sangue fetale, la madre comincia a produrre anticorpi contro i globuli rossi Rh positivi del feto: una condizione che può provocare la cosiddetta malattia emolitica fetale-neonatale, potenzialmente pericolosa per il bambino, ma soprattutto per eventuali feti di gravidanze successive. (sia nei casi di fecondazione assistita, FIVET, ovodonazione,  embriodonazione, seme del donatore) Prima dell’introduzione di misure preventive nei confronti di questa condizione, la malattia emolitica colpiva l’1% dei neonati, causando la morte di un bambino ogni 2200. A partire dagli anni settanta. grazie all’introduzione dell’immunoprofilassi anti-D, il numero dei casi si è drasticamente ridotto e oggi riguarda 4 casi ogni 10.000 nascite (0,04%).

Il rischio di immunizzazione

Perché la mamma Rh negativa cominci a produrre anticorpi anti-Rh, deve entrare in contatto con il fattore Rh del figlio e questo accade nel caso di contatto tra sangue materno e sangue fetale. Nella maggioranza dei casi, è il parto il momento in cui avviene questo contatto, e siccome a questo punto il feto ormai è nato, non avrà conseguenze.

La mamma, però, è ormai immunizzata (a meno di non eseguire l’immunoprofilassi nei tempi previsti): quindi potrebbero essere a rischio eventuali feti di future gravidanze, se fossero di nuovo Rh positivi. In questo caso, infatti, gli anticorpi anti-Rh circolanti nella mamma attraverserebbero la placenta, attaccando i globuli rossi del nuovo bambino.(attenzione anche nei casi di fecondazione assistita, FIVET, ovodonazione,  embriodonazione, seme del donatore)

A volte, l’immunizzazione può avvenire anche prima del parto, per esempio in caso di aborto spontaneo o minaccia d’aborto, esami invasivi come amniocentesi, cordocentesi e villocentesi, gravidanza extrauterina, traumi addominali, manovre di rivolgimento ostetrico.

Quando il feto è Rh positivo, se la mamma è Rh negativa?

Perché questo accada, il padre deve essere Rh positivo, ma attenzione: non è detto che se il padre è Rh positivo, lo sarà per forza anche il feto. Sono possibili due situazioni: – se il padre è omozigote per il fattore Rh, il figlio sarà sicuramente Rh positivo; – se il padre è eterozigote per il fattore Rh, c’è il 50% di probabilità che il figlio sia Rh positivo, e il 50% che sia Rh negativo. (anche nei casi di fecondazione assistita, FIVET, ovodonazione, embriodonazione, seme del donatore)

Cosa fare quando la mamma è Rh negativa e il papà è Rh positivo

In questo caso, ogni mese e per tutta la gravidanza, la mamma dovrà fare il test di Coombs, un esame del sangue che permette di verificare se la donna ha prodotto anticorpi contro l’Rh positivo.

Se il test è negativo, si esegue l’immunoprofilassi per evitare il rischio di malattia in ogni caso in cui ci sia la possibilità di immunizzazione, oppure dopo il parto. In tutti questi casi, l’immunoprofilassi va eseguita entro 72 ore dall’evento immunizzante.

In alternativa, alcuni centri la eseguono di routine a 28 settimane di gravidanza a tutte le donne Rh negative che non si siano immunizzate. Se il test è positivo e il papà è omozigote (per scoprirlo basta un esame del sangue paterno), il bambino è sicuramente positivo ed è dunque a rischio di malattia emolitica.

Se invece il papà è eterozigote, il bambino potrebbe anche essere Rh negativo e dunque non essere a rischio. Per stabilire il gruppo sanguigno del feto si può fare un prelievo di liquido amniotico o di sangue rispettivamente con l’amniocentesi o con la cordocentesi. Più di recente, sono stati sviluppati anche nuovi test che permettono di valutare il fattore Rh fetale a partire da un esame del sangue materno. “Tali metodiche però non sono di routine, ma vengono fatte solo in precise condizioni in cui valutare il fattore Rh del feto diventa indispensabile per la gestione di tali gravidanza a rischio”. (anche nei casi di fecondazione assistita, FIVET, ovodonazione,  embriodonazione,seme del donatore)

Cosa fare se la mamma è immunizzata e il bambino è Rh positivo

In questo caso, la gravidanza va seguita molto attentamente, con valutazione periodica di un’eventuale anemia fetale. Per farlo, basta un semplice test ecografico, la velocimetria doppler, con determinazione del picco di velocità di flusso dell’arteria cerebrale media. “Se il livello di anemia fetale è preoccupante e la gravidanza è oltre le 30 settimane, il bambino viene fatto nascere. Prima delle 30 settimane invece si procede con trasfusioni intrauterine, in genere nel cordone ombelicale o nel peritoneo del feto, fino al momento del parto, che verrà stabilito caso per caso e sulla base delle condizioni cliniche fetali valutate globalmente”.

La source: nostrofiglio.it

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